@Andreana Ferri

“Con la fotografia, voglio arrivare all’essenza delle cose.

All’essenza di me stessa.”  – Andreana Ferri

Andreana Ferri   ( Oliviero Toscani ) – scarica QUI la versione PDF dell’articolo

Inauguriamo questa rubrica con Andreana Ferri, fotografa professionista di Livorno, laureata in “Progettazione e Arti Applicate” all’Accademia di Belle Arti di Carrara e co-fondatrice della “BOOM srl”, società che si occupa di Branding e Digital Marketing.

Il maestro da lei proposto per il nostro primo incontro è Oliviero Toscani, del quale è allieva. Dai suoi insegnamenti trae ispirazione per il proprio percorso di crescita autoriale e personale.

Oliviero Toscani non ha certo bisogno di grandi presentazioni, fotografo contemporaneo di fama internazionale è noto al grande pubblico per le sue campagne pubblicitarie di denuncia e provocazione sociale. Nasce a Milano nel 1942, figlio d’arte, in una famiglia di fotografi, suo padre Fedele è il primo fotoreporter del “Corriere della sera” e fondatore dell’agenzia RotoFoto; mentre Marirosa, sua sorella, è fondatrice assieme a suo marito, Aldo Ballo, della prestigiosa agenzia fotografica Ballo+Ballo, diventata punto di riferimento per il design italiano.

foto di Fedele, Marirosa e Oliviero Toscani
ad opera di Aldo Ballo

Negli anni Sessanta ha l’opportunità di frequentare la prestigiosa Kunstgewerbeschule di Zurigo, al tempo guidata dal preside Johannes Itten, figura in primo piano della Bauhaus e maggior teorico del colore del ‘900, e come insegnanti avrà alcuni dei più importanti grafici e fotografi del mondo. Conclusi quindi gli studi con votazioni eccellente, poco più che ventenne si trova nel pieno fermento di una generazione in rivolta, di cui sarà testimone e non mancando occasione per immortalarne l’essenza.

Di quel periodo sono molto interessanti i ritratti a Don Milani, che Toscani ha avuto modo di conoscere e fotografare, assieme ai suoi allievi, alla scuola di Barbiana, durante alcune lezioni sull’uso della macchina fotografica richieste dallo stesso priore per i ragazzi dell’istituto. Dodici scatti nei quali il fotografo racconta con profonda umanità ed ammirazione la figura di Don Milani, restituendo, in quei momenti di semplice vita quotidiana e di studio, tutta la forza rivoluzionaria del suo impegno sociale. a la forza rivoluzionaria del suo impegno sociale.

«Don Milani era un uomo di grandissima intelligenza che capì subito i meccanismi della comunicazione di massa; comprese che per far passare il suo messaggio doveva implicarsi in prima persona. E così fece». O. Toscani – La Stampa 21.05.2017

©Oliviero Toscani
©Oliviero Toscani

Negli anni ‘70 si trasferisce a New York, condividendo frequentazioni e locali con i principali protagonisti della scena culturale, musicale e artistica di allora. Luoghi come Max’s Kansas, il Club 57 o la factory di Andy Warhol gli danno modo di conoscere e fotografare diverse personalità, diventandone molto spesso anche amico. Solo per fare alcuni nomi: Mick Jagger, Joe Cocker, Alice Cooper, Lou Reed (uno degli scatti diventerà la copertina di un suo album), Patti Smith.

@Anton Perich and Steven Kasher Gallery - Max’s Kansas City in the 1960s and ’70s Oliviero Toscani and Donna Jordan., NYC
@Oliviero Toscani - Una giovane Patti Smith attrae l’attenzione di Oliviero Toscani che, anche se ancora sconosciuta, decide di fotografarla riconoscendo in lei un fresco talento - 1973
@Oliviero Toscani - Erano diventati amici Mick Jagger ed Oliviero Toscani e durante una giornata a St. Tropez, in relax mentre giocavano a carte, decide di fargli un ritratto diverso, lontano dai palchi e dai consueti contesti dove viene frequentato dal pubblico e dai fotogiornalisti.. Il risultato è una fotografia informale, intima che restituisce “l’amico” Mick Jagger - 1973
@Oliviero Toscani - Lou Reed - Furono diverse le fotografie che Toscani fece a Lou Reed, una di queste divenne copertina per un suo album - 1974

Ed è proprio nel 1973 che firma la sua prima campagna pubblicitaria “scandalo”, che vede protagonista la sua allora fidanzata e modella, Donna Jordan, per la marca di Jeans Jesus, della quale ritrae il fondoschiena e i fianchi con il pube semi-scoperto, accompagnando il tutto con gli slogan Chi mi ama mi segua.” e “Non avrai altro Jeans all’infuori di me”. La trovata provocò un eco mediatico enorme: la Chiesa gridò allo scandalo, dalle pagine dell’Osservatore Romano, e Pier Paolo Pasolini gli dedicò un articolo di profonda analisi critica sulle pagine del Corriere delle Sera ( “Il folle Slogan – Corriere della Sera Giovedì 17 Maggio 1973 “ ).

toscaniJeans
Jesus
©Oliviero Toscani 1973

Ormai famoso in tutto il mondo, diventa il fotografo più ricercato dai maggiori brand e giornali: Vogue, Harpe’s Bazaar, GQ, Elle, Missoni, Valentino, Armani, Esprit, Prenatal, Chanel, Fiorucci e ovviamente Benetton, eleggendo quindi il settore dell’advertising il suo mezzo preferenziale per esprimere e veicolare i suoi messaggi di provocazione e di denuncia sociale, reinventando così di fatto il linguaggio dell’advertising.

Andrea, arrivando al tuo di percorso: nella fotografia autoriale la ricerca di una propria identità è un passaggio fondamentale, e sicuramente Oliviero Toscani ha avuto opportunità importanti di attingere ed imparare da tantissimi grandi del suo tempo.

Ritieni che per le generazioni contemporanee sia più difficile emergere rispetto a quelle di allora? Vedi una penalizzazione in termini di possibilità, rispetto al passato, oppure ogni tempo può offrire spunti di ricerca differente?

©Andreana Ferri

ANDREA:

Negli anni, ho capito che la fotografia è un linguaggio e come tutti i linguaggi serve a dire delle cose. La macchina fotografica è il mezzo che il fotografo ha scelto per dire ciò che vuole dire.
Al giorno d’oggi la fotografia a differenza del passato è alla portata di tutti, tutti possono fotografare, ma questo non significa che tutti siano fotografi.


Un fotografo, per essere riconoscibile nel mare di immagini in cui ci troviamo deve essere un autore. Deve essere un autore e testimone del suo tempo. Deve analizzare sé stesso, analizzare il mondo e realizzare fotografie che abbiamo un significato e il suo punto di vista sul mondo.


Per fare tutto questo ci vuole costanza, disciplina e curiosità.


Cerco di capire ogni giorno chi sono e chi voglio essere come fotografa.
Parto dai grandi maestri e dai fotografi che mi ispirano oltre ad Oliviero Toscani e cerco di cogliere quel qualcosa che mi colpisce in ognuno di loro:
Richard Avedon, con la sua ossessione per l’eccellenza e il suo modus operandi nel provocare nei suoi soggetti una reazione.
La completa apertura mentale e curiosità di Diane Arbus nei confronti del “diverso”.
La totale autenticità e semplicità del fotografo Disfarmer.


Ed è qui che mi torna alla mente la frase di H.D.Thoreau “Non importa quello che stai guardando, ma quello che riesci a vedere”.
Quindi oltre ad i grandi maestri, la mia ispirazione può potenzialmente arrivare da qualsiasi cosa, il mondo intorno a me, la mia famiglia, un libro, una canzone. La mia ricerca sta nel trovare lo straordinario nell’ordinario.
Dal libro “Kubrick e il cinema come arte del visibile – S.Bernardi” ho trovato questa bellissima e illuminante frase:

L’ignoto sta nascosto nel cuore del noto, e basta cambiare occhi, cambiare sguardo oppure obiettivo, per scoprire nell’ambiente familiare, o “domestico” un’estraneità insolubile, una complessità infinita.”


Tutto parte da noi e se mi chiedessero “Qual’è il tuo scopo?” io risponderei..
Hai presente quella sensazione che si prova quando scopri quella cosa rara, magica, profonda che è dentro i gesti, dentro ad un dettaglio, dentro ad una danza ad un dipinto, ad un oggetto fatto a mano dentro le persone?
Quando scopri quel qualcosa che ti fa dire: “ecco questo si avvicina al senso della vita.
Ecco voglio cercare quella cosa, trovarla e condividerla con gli altri, magari con la fotografia.

“If I have seen further it is by standing on ye shoulders of Giants.” – Se ho visto più lontano, è perché stavo sulle spalle di giganti – Isaac Newton, da una lettera a Robert Hooke, 15 febbraio 1676.

Il contesto familiare ed il percorso formativo, come abbiamo visto fortemente contaminato dai principi della Bauhaus, hanno sicuramente lasciato un’impronta importante su Oliviero Toscani, che gli ha permesso da un lato di apprezzare ed imparare dai lavori dei suoi predecessori e contemporanei, dall’altro di comprendere quanto la creatività non possa essere insegnata e codificata, ma piuttosto germogli spontaneamente se stimolata da un contesto virtuoso, non condizionato da pregiudizi e soprattutto che incentivi il superamento delle proprie zone di confort.

“Nel vostro momento di massima insicurezza, forse è il vostro momento di massima creatività” – Oliviero Toscani

Nel tempo sono state diverse le iniziative di Toscani dedicate all’insegnamento, perlopiù orientate alla realizzazione di spazi/laboratorio di condivisione fra giovani ed artisti affermati, riuniti in un unico ambiente per lavorare assieme su progetti comuni. Lo scopo è di formare le nuove leve attraverso l’esperienza diretta, secondo il principio dell’“imparare facendo”.

Con Benetton, nel 1994 fonda Fabrica, spazio creativo multidisciplinare di ricerca sulla comunicazione, mentre nel 2004, con l’intento di rendere il progetto meno legato ad un marchio noto, istituisce La Sterpaia, anch’essa “una bottega d’arte e comunicazione”, una vera e propria azienda che vive dei propri progetti sviluppati in collaborazione tra maestri e giovani artisti.

Tu stessa hai partecipato a diverse masterclass e workshop, nonché siete in contatto per altri progetti, occasioni di studio e momenti di confronto. ( Nei periodi di lockdown si è peraltro reso molto disponibili ad iniziative online ed opportunità di incontro tramite social e piattaforme di videoconferenza, la maggior parte delle quali a titolo gratuito )

Qual è stato l’insegnamento di Oliviero Toscani per te maggiormente significativo ?

ANDREA:

Oliviero Toscani mi ha insegnato davvero molte cose, ha radicalmente cambiato il mio mindset sulla fotografia. Ha risposto a tante domande che avevo nella testa e ha confermato tanti tormenti che non mi lasciavano dormire la notte. E sì, con lui la mia testa ha fatto quel famoso “Click” che ti cambia per sempre.

Il più importante insegnamento ricevuto è che il fotografo è un autore. Un autore che ha deciso di esprimersi con la fotografia. Ed essendo autore della propria fotografia, il fotografo parte da un pensiero, da un qualcosa che vuole dire, diventando da quel momento anche scenografo, regista, tecnico delle luci, operatore alla macchina ecc… unendo il tutto per realizzare la SUA fotografia.

Senza dimenticare un altro mantra ripetuto continuamente da Toscani, ovvero che “nessun dettaglio è piccolo”.

Ogni particolare contribuisce a rendere una fotografia efficace, che non significa esteticamente bella, ma piuttosto dotata di un grande significato che tutti riescono a leggere, che tutti riescono a vedere in maniera immediata e chiara.

Ecco un altro grande insegnamento che durante diversi workshop Toscani mi ha sottolineato: “togliere il superfluo ed arrivare all’essenziale”, solo così si può arrivare alla vera essenza del nostro messaggio.

Da quando ho conosciuto il Toscani, per me è stato sempre una grande fonte d’ispirazione. Un fotografo della sua esperienza e cultura che ripete a noi fotografi che non esistono “classifiche”, non esistono “generi fotografici”, che ognuno ha la sua unicità e deve imparare ad esprimerla con la fotografia, è puro ossigeno.

Siamo i libri che leggiamo, le immagini che vediamo, siamo la musica che ascoltiamo.
Dobbiamo lavorare per essere la migliore versione di noi stessi così la nostra fotografia si eleverà e non rimarrà nel vortice della mediocrità.

Le fotografie non vanno spiegate, altrimenti significa che non sono buone.
In questo caso però, proprio per lo scopo che ha questa rubrica e per ribadire il concetto di fotografo come autore, ci tengo a raccontare la progettualità che c’è dietro alcune mie fotografie.

Vi chiedo quindi si soffermarvi a guardare le mie fotografie, capire quali sensazioni vi provocano, e solo in un secondo momento, leggere il mio racconto su di esse.

IMMAGINARE Rimini Fuori Stagione – presso la spiaggia Grand Hotel di Rimini

@Andreana Ferri - 2017 - Rimini fuori stagione

ANDREA: Progetto svolto durante il mio primo workshop 2017 di Oliviero Toscani, insieme a Paolo Crepet e Settimio Benedusi. Rimini è una città indissolubilmente legata all’estate, e la sfida è stata quella di raccontare Rimini nel luogo in cui prende vita, la spiaggia, però fuori stagione. Camminando per la spiaggia del Grand Hotel, ho cercato dei particolari che mi permettessero di descrivere le due facce di Rimini.

E così la mia attenzione è stata catturata da vecchie scarpe o ciabatte, che da mesi erano rimaste sulla spiaggia, abbandonate.

Guardandole mi sono chiesta chi fosse il proprietario, se fosse un adulto, un bambino, se la persona ne avesse persa solo una, se l’avesse lasciata lì per sbaglio oppure se l’avesse persa in mare e la corrente l’avesse portata sulla spiaggia.

Ogni scarpa ritrovata ha una storia, e subito nella nostra mente visualizziamo situazioni in quella Rimini calda e caotica che, fuori stagione, sulla spiaggia, lascia i resti della sua vita estiva.

Propongo di seguito un fotogramma tratto da una scena famosissima di un film Cult: Shining. Il riferimento a Diane Arbus è evidente e lo stesso Stanley Kubrick dichiara che si ispirò proprio alla famosa fotografa per il soggetto delle gemelle.

@Stanlei Kubric – Shining

Il riferimento al noto regista non è ovviamente casuale, infatti la tua tesi di laurea era proprio incentrata su Kubric ed immagino quindi che anch’egli per te sia un riferimento artistico importante. Vuoi raccontarci qualcosa di più Kubrick e di cosa ti intriga del suo linguaggio? Cos’è il progetto Volterra?

@Andreana Volterra-2017

Mi ha sempre affascinato il mondo di Stanley Kubrick per questo decisi di dedicargli la mia tesi dal titolo: “La composizione simmetrica nelle inquadrature del cinema di Stanley Kubrick”.

La cosa che mi ha affascinata di più del lavoro di Kubrick è la riflessione sul Diciottesimo secolo, in particolare sull’’Illuminismo, soprattutto per un aspetto puramente concettuale. Il compito degli illuministi era l’uso della ragione; essa è dimostrata dai risultati pratici ed è considerata valida solo se può spiegare i fatti in base a delle leggi razionali.

Queste leggi razionali però non sono applicabili nell’ambito dell’esperienza umana. È questo l’elemento che a me interessa maggiormente nelle opere di Kubrick, sottolineare che questi principi non possono realizzarsi nella realtà e soprattutto nei rapporti umani. La maniacale attenzione dell’uso della simmetria nei film di Kubrick è come se annullasse l’essere umano. La razionalità che caratterizza la composizione simmetrica dell’inquadratura si contrappone all’irrazionalità dell’individuo. Quindi l’ambiente simmetrico, razionale, fa da scenario ad un soggetto che rappresenta l’irrazionale.

Questo maniacale equilibrio dell’immagine mette lo spettatore davanti ad una perfezione compositiva, facendogli provare emozioni contrastanti. Da quel momento questo convivere tra razionale e irrazionale mi ha molto ispirata ed ha anche influenzato il mio modo di vedere la fotografia.

Quando nel 2017 durante il mio secondo workshop di Oliviero Toscani, insieme a Paolo Crepet e Settimio Benedusi, Kubrick è tornato alla mia mente in quanto ci trovavamo nel suggestivo Manicomio di Volterra, un luogo che rappresentava alla perfezione l’irrazionalità dell’essere umano. Il manicomio di Volterra nacque nel 1887, ospitava migliaia di persone ed era una delle strutture più grandi del nostro paese. Purtroppo, terapie invasive o tremendamente invalidanti come elettroshock e lobotomia erano all’ordine del giorno. Sicuramente I pazienti trattati con le più diverse terapie vagavano per le stanze e i corridoi, quando non raggiungevano lo stato vegetativo, privati della vita stessa. Dal 1978, dopo la legge Basaglia i padiglioni manicomiali vennero abbandonati.

Avendo questo privilegio di visitare l’ex Manicomio e vagando tra i corridoi dell’ospedale, ho cercato di immergermi il più possibile in questo luogo pieno di storie e di dolore. Dalle finestre fischiava il vento e quando non c’era il silenzio era assordante.

Camminare per le varie stanze è stato emotivamente coinvolgente e per questo non è stato semplice decidere come raccontare questo luogo, le persone che ci hanno vissuto e nel quale hanno perso la vita senza cadere in immagini banali.

Ho iniziato ad immedesimarmi negli ex pazienti dell’ospedale e subito mi sono sentita come imprigionata e ad un certo punto mi è venuto spontaneo alzare la testa verso il soffitto, come per cercare un po’ di pace, per sfuggire alle pareti soffocanti. Ed è lì che per me, la storia che volevo raccontare ha preso vita.

Tante stanze rovinate dal tempo, soffitti con lampade semi distrutte, ma che in passato rappresentavano la luce, quella luce che i pazienti non potevano quasi mai vedere all’esterno. Chissà quante volte, sdraiati in quei letti, i pazienti hanno guardato il soffitto e quella luce che rappresentava la loro via di fuga.

Anche qui, ogni lampada racconta storie, pensieri, sogni, ogni soffitto, rovinatosi nel tempo, rappresenta il loro cielo. Sarebbe bello se quelle povere persone che avevano bisogno di aiuto, avessero avuto la forza, anche solo per un momento, di immaginare non più un letto di ospedale, ma un prato; non un soffitto bianco ma un cielo blu cobalto; non una fredda lampada al neon, ma un caldo sole che crea vita.

Qui invece ti vediamo con Settimio Benedusi, quando hai avuto modo di incontrarlo?

Ho conosciuto il fotografo Settimio Benedusi al primo workshop assieme ad Oliviero Toscani. Fin dal primo giorno ho apprezzato il suo modo chiaro, inequivocabile e schietto di dire le cose. Settimio da quel giorno ad oggi mi è stato sempre vicino nel mio percorso da fotografa. Mi ha corretto quando serviva in modo sincero e non si è risparmiato con parole per me importanti. Sempre pronto e disponibile per un consiglio, un incoraggiamento o una “raddrizzata”.

Una delle cose che Settimio mi ha insegnato è che “La fotografia è una cosa importante”, veramente importante e che il fotografo, che spesso quando fotografa pensa di “prendere” un qualcosa dal soggetto di fronte a lui, in realtà è proprio il fotografo che deve donare sé stesso a chi si trova davanti ed è lui che viene guardato. Questo mi ha aiutato molto nel mio approccio alla fotografia, soprattutto per quanto riguarda i ritratti.

 

Devo essere sincera, sono molto grata ad entrambi, perché ognuno a suo modo, con il proprio differente bagaglio culturale ed esperienza, mi hanno insegnato, fotograficamente parlando, ma non solo, ad avere il coraggio di sentirmi LIBERA di essere quella che sono.

@Andreana Ferri – 2020

NO BREATH. NO VISION. NO FUTURE

Ottobre 2020 – COVID_19

Ci sono mattine in cui mi sveglio e mi manca il respiro. Ci sono mattine in cui mi sveglio e non voglio vedere ciò che sta succedendo. I miei occhi non riescono a vedere dove si trova la fine, il presente sembra immobile.

Ci sono mattine in cui mi manca il respiro e la direzione del mio cammino è offuscata. Liberiamo la nostra mente e salviamo il nostro futuro.

Tu come ti senti appena sveglio la mattina?

MORALE, ARTE, PROVOCAZIONI

@Oliviero Toscani - 1991 - Suora e Prete. L’amore universale.
@Oliviero Toscani - 2007 - durante la settimana della moda a Milano, lancia una campagna di denuncia sull’impiego di modelle anoressiche. La modella ritratta, Isabelle Caro, ha raccontato in un libro la sua storia “La ragazza che non voleva crescere. La mia battaglia contro l'anoressia” - Cairo Publishing - 2009
@Oliviero Toscani - 1996 - Facciamo tutti parte della stessa razza umana.
@Oliviero Toscani - 2014 Generazione digitalmente interconnessa
@Oliviero Toscani - 1996 United Color
@Oliviero Toscani - 1996 - Une delle foto preferite dell’autore fra i suoi lavori. Nella sua semplicità, dice molto sulla distribuzione della ricchezza nel mondo. La mano dà, riceve ? Trattiene o mostra ? Un'immagine semplice didascalica, ma che fa riflettere molto.
@Oliviero Toscani - 1989 - Chi è la guardia e chi il prigioniero ?
@Oliviero Toscani - 1994 - Divisa di un soldato croato durante la guerra dell’ex-Jugoslavia
@Oliviero Toscani - 2000 - Contro la pena di morte. La campagna pubblicitaria di denuncia, lanciata con Benetton, causò importanti controversie che portarono ad una rottura fra l’azienda ed Oliviero Toscani. L’accusa mossa dalle autorità Americane, nonché dalle famiglie dei condannati, è che non sarebbero stati messi a conoscenza del fatto che le foto avrebbero fatto parte di una campagna pubblicitaria, ritenendo invece che la finalità fosse giornalistica.

Non ho fatto scelte estreme. L’Arte non ha morale. – Oliviero Toscani

Andrea, ti trovi d’accordo con questa frase? C’è un momento in cui il fotografo dovrebbe posare la macchina e scegliere di NON fotografare? Prima che tu risponda voglio mostrare due foto, entrambe vincitrici del premio Pulitzer.

La prima è di Kevin Carter, mostra un avvoltoio che attende la morte di un bimbo stremato e denutrito. L’immagine è diventata un’icona della denuncia della carestia e delle guerre civili in Sudan. Smosse una grande solidarietà nei confronti delle organizzazioni umanitarie, si accese anche un profondo dibattito sull’etica del fotografo e sulla liceità di anteporre l’esigenza del fotografare, rispetto a quello del soccorrere. A fronte delle numerose polemiche, vittima di una forte depressione per le atrocità di cui è stato testimone, Carter si suicidò proprio nello stesso anno in cui quella foto gli permise di vincere il premio Pulitzer.

@Kevin Carter - 1993 Bambino con avvoltoio

La seconda è di Nick Ut, siamo in Vietnam, nel 1972 nei pressi di un villaggio a 30 km da Saigon. Ritrae la fuga disperata di alcuni bambini dalle esplosioni e dalle fiamme causate da un bombardamento al napalm. Fra questi spicca la figura di una ragazzina, Kim Puch, 9 anni all’epoca, completamente nuda, che corre e grida disperatamente in preda al dolore e nella speranza di ricevere un aiuto. Aiuto che arriverà, ma non subito.

Sono diversi i reporter presenti alla scena, fotografi e operatori video. Ma passa del tempo prima di che vengano soccorsi i bambini. Il tempo che serve affinché ognuno testimoni l’evento e lo faccia nel più efficace dei modi. Nick Ut stesso fa diversi scatti da diverse angolazioni, prima di raccogliere la bambina da terra e portarla in salvo.

Anche in questo caso l’Immagine è diventata emblematica, perché più dei numerosi filmati e di tante altre fotografie, è riuscita a riassumere ed a trasmettere le atrocità e la crudeltà della guerra in Vietnam. Nick Ut e Kim Puch sono rimasti in contatto, sono diventati amici, le si riferisce a lui come zio Ut. Kim Puch nel 2019 ha scritto un libro per raccontare la sua storia “Il fuoco addosso” è diventata madre e poi nonna.

Un lieto fine, rispetto alla vicenda precedente, ma il limite in cui si muove il fotografo nel suo intento di documentare ( e provocare ) è davvero sottile. Susan Sontag a tal proposito riflette: “fotografare è essenzialmente un atto di non intervento […] chi interviene non può registrare, chi registra non può intervenire” .

@Nick UT - 1972 Kim Phùc

Ovviamente con Ut e Carter ci troviamo in contesti molto diversi da quelli in cui si è mosso Oliviero Toscani, nei primi due casi siamo nell’ambito del reportage, mentre nel secondo in quello della stage photography, ma in termini di linguaggio ( e del suo uso ) ci troviamo invece sullo stesso piano di azione.

In entrambi i casi infatti vi è una scelta precisa di leggere un momento storico/sociale ( l’intento di un fotografo di trovarsi in una specifica circostanza non è dettata dalla casualità, ma bensì dalla volontà a priori di voler documentare/denunciare una precisa situazione ) , di volerlo fotografare in una determinata modalità affinché sia altamente funzionale al messaggio da trasmettere ( scelte estetiche e di inquadratura ) , per raggiungere lo scopo di provocare una forte reazione nell’osservatore, facendo leva sui suoi valori e sulla sua morale ( call to action – ottenere un coinvolgimento attivo ).

La questione etica è quindi sicuramente un argomento delicato e di non semplice trattazione, personalmente credo che la discriminante ultima, per decidere quando sia opportuno fotografare o meno, risieda nella consapevolezza che si ha del contesto e della propria funzione nel contesto stesso, unitamente alla chiarezza dello scopo che si vuole ottenere con il proprio intento. Qual è il tuo pensiero? Hai mai scelto di NON fotografare oppure, a posteriori, di ritenere opportuno tenere per te alcune foto?

ANDREA: Credo un fotografo, per realizzare una fotografia che sia efficace, debba avere sempre ben chiaro nella mente cosa e come andrà a realizzare la sua fotografia, sia se lavora in studio, sia se lavora come fotoreporter.

Il fotografo per prima cosa deve avere un suo pensiero, poi decide quale messaggio vuole trasmettere e deve visualizzare prima nella sua mente l’immagine che intende creare.

Solo dopo questa progettualità il fotografo crea la fotografia.

Dietro una fotografia è necessario che ci sia sempre un pensiero, una storia, un messaggio. Le fotografie devono sempre provocare qualcosa dentro chi le guarda. Per fare questo il fotografo deve avere il coraggio di mettere sotto forma di immagine i propri pensieri, senza “paure”, limiti. Il politically correct è la morte dell’arte. E il fotografo che è testimone del proprio tempo deve essere consapevole dell’enorme potenzialità e importanza che ha la fotografia.

Sinceramente non ricordo di essermi trovata nella situazione del “non fotografare” perché quando ho in mente un pensiero, e voglio condividere un messaggio, rispetto ad una situazione che mi trovo di fronte, subito si palesa il coraggio di realizzare l’immagine che è dentro la mia mente. Se l’immagine esprime a pieno il mio pensiero, non mi faccio problemi a rendere pubblica la fotografia.

In linea di massima essendo la fotografia un linguaggio, nel momento in cui il fotografo ne realizza una, dovrebbe sempre avere come scopo quello di condividerla. Altrimenti è solamente un dialogo con sé stessi o un autocompiacimento, che sicuramente non ti fa crescere né come fotografo né come persona.

Sicuramente un fotografo nel suo percorso farà delle prove o degli esperimenti che resteranno nei suoi archivi, ma questa non la vedo come fotografia ma come appunti, anche se sono delle immagini. Nel momento in cui invece realizzi una fotografia, stai comunicando qualcosa e per comunicare è necessaria la presenza di un interlocutore.

Per questo, soprattutto da quando ho intrapreso uno studio con Oliviero Toscani, ho sempre pubblicato le mie fotografie. Perché credo sia fondamentale mettersi in gioco, imparare ad accettare le critiche e i consigli. Provocare è la parola d’ordine, qualsiasi sia la reazione che riceviamo. Come mi ha insegnato il Toscani, quando una fotografia dà fastidio, vuol dire che si è sulla strada giusta.

Rimanendo In tema di provocazione, vuoi commentare le seguenti tue fotografie?

ANDREA: Ho partecipato a questo contest per il workshop del Toscani Circus, per analizzare il mondo, la società e me stessa. In questa mia interpretazione del tema ho voluto trattare qualcosa che fa parte della mia esperienza personale. Cos’è davvero bello o brutto? I canoni di bellezza cambiano da paese a paese, da un’epoca all’altra o anche da un solo decennio all’altro.

Quindi la percezione in questo caso del nostro corpo cambia in base a DOVE e a QUANDO siamo nati

Ed è per questo che avere una cultura e una curiosità nel conoscere il mondo è così importante. Senza di esse, correremmo il rischio di distorcere la nostra vita, le nostre scelte e la nostra felicità a causa dei condizionamenti della società, che spesso ci rendono schiavi, non liberi.

@Andreana Ferri – Il bello del brutto

Il corpo con qualche chilo in più è ancora oggi considerato “brutto” dalla nostra società. Da quando sono bambina i chili in meno o in più sono stati un problema e fonte di denigrazioni. A causa della continua lotta contro questo tabù, ho dato talmente tanto “peso” a ciò che ho dentro che ad un certo punto ho perso di vista il “peso” che stava mutando fuori.

È così che dopo un mio recente percorso personale legato alla salute dove ho perso quasi 20kg, ho finalmente raggiunto il mio peso giusto, il normopeso.Ma quanto vale essere normopeso in una società in cui il sottopeso è considerato bello e dove qualche rotolino di troppo è sempre fonte di vergogna? Sapete cosa davvero conta?  Che sia giusto per ME.

@Andreana Ferri

All’inizio di settembre 2021, diventò virale lo sfogo di una ragazza residente a Collepasso (Lecce), alla quale stato negato l’acquisto di assorbenti in un supermercato locale durante la zona rossa rafforzata. Alessia Ria, dopo aver ricevuto come risposta: “O certifichi di avere il ciclo o lamentati con il sindaco”, risponde con un post Facebook: “Questa sera sono andata a comprare due pacchi assorbenti ma mi è stato vietato perché non sono considerati “beni di prima necessità! Quindi non solo sono considerati beni di lusso, non solo paghiamo il 22% di Iva, ma adesso devo anche pivarmi di un qualcosa di cui io e miliardi di donne abbiamo bisogno ogni mese!”

L’ordinanza recitava: “Con decorrenza dal 27 marzo e sino al 6 aprile 2021, tutte le attività commerciali consentite dal Dpcm del 2 marzo 2021 in zona rossa (articolo 45), chiudono alle ore 18:00, ad eccezione delle attività d vendita di generi alimentari, di carburante per autotrazione, di combustibile per uso domestico e per riscaldamento, delle edicole, dei tabaccai, delle farmacie e delle parafarmacie”.

Il giorno dopo il suo post, arrivò la precisazione della Regione, che ha dichiarato: “è consentita la vendita di assorbenti, data la loro specifica funzione, entro l’orario della chiusura ordinaria”. Forse l’ordinanza non era chiarissima. Ma la domanda mi è sorta spontanea.

Si è trattato di eccesso di zelo? O in Italia il tema “mestruazioni” è ancora considerato tabù?

Questa cosa accaduta ad Alessia Ria, mi ha fatto pensare ed ho deciso di produrre questa fotografia per raccontare la mia visione.

@Andreana Ferri

“Fuck Disney” da un’idea di Oliviero Toscani insieme a Nicolas Ballario, un progetto che denuncia il colosso più amato al mondo, Disney, ponendo l’attenzione sui suoi lati oscuri e sulle conseguenze che ha avuto negli anni sulle generazioni.

Sono nata nel ‘92 e sono cresciuta a pane e Disney, conosco praticamente tutte i cartoni e le canzoni a memoria ma nonostante questo, riconosco quanto questo Impero ha influito sulla mia vita perché mentre crescevo. L’impero Disney mi ha accompagnato e fatto vedere mondi fantastici ma mi ha detto anche molte bugie, nascondendo la realtà. Quindi ho voluto partecipare a questa sfida #FUCKDISNEY con 3 foto che rappresentano l’influenza che Disney ha avuto su di me

@Andreana Ferr – Il bello del brutto

Titolo della fotografia: “Per mano mia.”

“La terra ci ha donato molto con le sue grandi mani invisibili. Per mano mia e per mano nostra, siamo diventati delle persone ingrate. Ma la terra siamo noi. Salviamoci. La scelta è nelle nostre mani.”

A Luglio 2020, è stata realizzata un Opencall Globale per Stop Global Warming Eu. Creativi, fotografi, graphic designer, illustratori hanno partecipato con le loro creazioni alla lotta contro il cambiamento climatico dell’iniziativa europea www.stopglobalwarming.eu

157 lavori, 12+ paesi e 3 giudici di Fama internazionale. Oliviero Toscani Studio, Avy Candeli, Emiliano Ponzi, e il team ZOOPPA. Grazie inoltre anche a Marco Cappato. Ogni giudice ha scelto i 6 migliori lavori tra foto e illustrazioni.

Questa mia foto realizzata per l’evento è stata scelta tra le migliori dal Maestro Oliviero Toscani e da Emiliano Ponzi. Verrà usata, assieme alle altre selezionate, per promuovere questa importante iniziativa!

SUL RITRATTO

Fotografia come indagine su sé stessi e gli altri

Per Oliviero Toscani “la fotografia è un mezzo per esprimere la propria visione agli altri”, rifiutandone quindi un uso intimistico e personale. Per te invece la fotografia è anche un mezzo per comunicare con te stessa, cercando di trovare delle risposte … o forse altre domande…. Cos’è per te l’auto ritratto?

@Andreana Ferr – Il bello del brutto

ANDREA: C’è stato un giorno preciso in cui ho deciso di iniziare a creare degli autoritratti. Il 4 febbraio 2020, nel giorno del mio compleanno ho realizzato il mio primo vero autoritratto. Ti chiederai perché proprio quel giorno?

Ogni anno, tiro le somme di chi ero e di chi sono diventata. Ogni anno non si cresce sempre allo stesso modo. Al compimento di quell’anno avevo fatto un passo in più rispetto agli altri anni, mi ero scavata dentro ed ho dovuto fare i conti con la parte dentro e fuori di me.

Proprio come una fotografia, ci deve essere equilibrio tra estetica e messaggio. Ed in quel momento ho capito che l’unico modo per ricordare a me stessa chi fossi e chi sono oggi è attraverso la fotografia, che è il mio modo di parlare.

L’autoritratto spesso costa caro. Non è solo una fotografia che deve avere un rigore estetico, ma per essere autentica deve essere VERA, quindi spesso anche crudele, dura. Ci vuole coraggio per tirar fuori ciò che abbiamo dentro e rappresentarlo e se il risultato è efficace lo si capisce subito perché se ne esce sfiniti, mentalmente e fisicamente.

È un lavoro molto affascinante che cerca costantemente un equilibrio tra una scelta estetica razionale e un messaggio, un’emozione, una sensazione, uno stato d’essere spesso irrazionale.

Per me l’autoritratto non è solo testimonianza di chi sono, ma è allo stesso tempo una terapia per affrontare paure e difficoltà e un’esperienza che mi aiuta a mettere a fuoco soprattutto chi voglia davvero essere. Più sarò consapevole di qual è il mio pensiero nei confronti del mondo che mi circonda, più riuscirò grazie alla fotografia a capire me stessa, senza limiti.

Uno dei progetti che personalmente preferisco di Oliviero Toscani è “Razza Umana”, un lavoro immenso, aperto nel tempo e nello spazio, avviato nel 2007 con lo scopo di rappresentare l’umanità in maniera unica e unita attraverso un flusso fotografico composto da migliaia di ritratti di gente comune. ( circa 78000 ritratti al 2020, per capirne l’imponenza )

Trovo calzante per descrivere questo progetto una citazione di Helmut Gernsheim (fotografo, storico della fotografia, collezionista – 1913 – 1995 )

“La fotografia è l’unico linguaggio compreso in ogni parte del mondo e, superando tutte le nazioni e le culture, unisce la famiglia umana. Indipendente da qualsiasi influenza politica – dove la gente è libera – rispecchia la vita e gli eventi in modo veritiero, ci permette di condividere speranze e disperazioni altrui, chiarifica condizioni politiche e sociali. Noi diventiamo testimoni oculari dell’umanità e della disumanità degli uomini…”

@Oliviero Toscani - Razza Umana
@Oliviero Toscani - Razza Umana

Si dice che farsi fotografare sia un po’ come farsi rubare l’anima, Oliviero Toscani scherzando dice che effettivamente si sente un po’ come un ladro di anime, quando racconta di questo progetto nelle interviste o nei workshop. Personalmente trovo questi ritratti davvero intensi e rimarrei ore ad osservarli; trovo che abbiano una facoltà quasi alchemica che gli conferisce il potere, attraverso gli sguardi intensi che l’autore è riuscito a fissare in immagine, di raccontare non solo la storia dei soggetti ritratti, ma di indagare soprattutto lo stesso osservatore/spettatore, riuscendo a farlo mettere in gioco, come in un mutuo confronto fra esseri umani. ”

Da poco hai anche tu ha intrapreso un progetto che ha come tema i ritratti, lo hai battezzato “Ritratti stampati”, cosa significa per te questo lavoro e perché poni l’accento sulla parola “stampati”?

Si, ho deciso di chiamarlo “Vedere L’invisibile – Ritratti fotografici stampati”

Esiste da anni in progetto “Ricordi?” che promuove il ritratto fotografico stampato come “una testimonianza un racconto e un’esperienza che ha l’ambizione di durare tutta la vita”

Voglio seguire le orme di Settimio Benedusi perché credo profondamente nei valori di “Ricordi?” e voglio diffondere l’importanza della fotografia come ricordo della nostra identità. Questo progetto ha un significato profondo ed autentico per me. Attraverso la fotografia l’umanità ha la possibilità di potersi raccontare. A un certo punto della storia della civiltà, la fotografia consente a tutti di poter lasciare ai posteri un ricordo indelebile di sé stessi e della propria famiglia.

Paradossalmente oggi, con le nuove tecnologie, questa magia rischia di scomparire, perché l’enorme quantità di fotografie digitali che abbiamo sui nostri smartphone, probabilmente non verranno mai stampate. E forse molte di loro verranno perse nei vari passaggi di dati.

Perché impedire ai nostri figli, nipoti e pronipoti la possibilità di conoscerci e riconoscersi? Per decidere di venire a farsi ritrarre ci vuole il coraggio, di dire: “Si, oggi questo sono io” Lo scopo non è quello tornare a casa con una meravigliosa fotografia stampata, ma con una fotografia vera e autentica che testimonia chi sei ed è ricordo della tua identità.

@Andreana Ferri - Quattro fratelli uniti dai più profondi valori della famiglia. Nei loro nomi c’è la storia e la tradizione del loro passato. Nei loro occhi vedo diversi paesi, culture, i colori, la musica, vedo persone ridere e ballare, vedo i valori del passato che danno forza al cammino del futuro. Vedo il senso più autentico di una famiglia.
@Andreana Ferri - Ognuno con un carattere completamente diverso, insieme vanno all’unisono. L’identità della loro famiglia, della loro vita, della loro storia, sarà per sempre racchiusa nel loro ritratto.
@Andreana Ferri - Denise, si veste quasi sempre di nero, ed è una ragazza misteriosa e affascinante. Ha un mondo immenso dentro di se che condivide solo con pochi. Da quando è arrivata Nora, il suo mondo pieno di sogni inizia ad assumere un nuovo colore.
@Andreana Ferri - Così giovani e belli che è difficile immaginare che il loro cuore è stato distrutto in mille pezzi. Il vero amore è l’unico in grado di sopravvivere sopra e fuori da questa terra. Ed è proprio l’amore il più forte motore che smuove il mondo. Siete venuti di fronte a me vestiti di bianco, con una piccola vita che sta per arrivare, mi avete guardato intensamente ed io per la prima volta ho visto il piccolo Mattias.

Questa è la tua foto preferita di Oliviero Toscani, ci vuoi spiegare il perchè

@Oliviero Toscani - Razza Umana

Ho diverse foto preferite di Toscani, ma si, questa è decisamente tra le mie preferite. Adoro la semplicità, l’essenzialità, l’estetica, la potenza e il messaggio. E credo che racchiuda tutto quello che deve esserci in una fotografia ed è il risultato di un fotografo che è un Autore. “Angelo e Diavolo” è il titolo di questa fotografia. Ed è qui che secondo viene fuori il fotografo che è artista e autore della sua immagine.

Nessuno di noi sa realmente come sia fatto un angelo e come sia fatto un diavolo eppure, la nostra cultura ci fa fare questa scelta quasi in maniera scontata. Oliviero Toscani impiegò un anno per cercare questi bambini. Il bambino biondo, dalla pelle chiara che tutti avrebbero riconosciuto come angioletto, lo ha scelto con una faccia “diabolica”, mentre quello moro, dalla pelle scura che tutti avrebbero indicato come il diavolo, lo ha scelto con una faccia angelica.

Per me è molto affascinante questa ricerca del dettaglio da parte del fotografo, questa ricerca ragionata, che rompe gli schemi comuni, che va oltre, che ha l’intento di provocare un pensiero, un’emozione in chi guarda la fotografia.

E fra le tue di foto, ne hai una preferita?

Trovo sempre molto divertente questa domanda. La prima risposta che mi viene in mente forse sarà banale ma non ho una foto preferita. Forse lo sarà la prossima che farò o forse no. Magari in questo momento potrei essere più affine ad una anziché ad un’altra. Ma quando realizzo una fotografia, dentro di essa metto un pensiero, uno stato d’animo, un’emozione che in quel momento magari è ben definito, ma qualche minuto dopo può anche non esserlo più.

Per questo non ho una mia foto preferita, anche se posso andare fiera di averne realizzato qualcuna. Per fortuna però tutto è mutevole, i nostri pensieri le nostre idee, le nostre emozioni; quindi, credo che fino a quando non avrò una mia foto preferita, saprò di essere sulla strada giusta, perché vorrà dire che sto crescendo, sto cambiando e magari migliorando il modo in cui vedo il mondo e me stessa.

E siamo giunti alla conclusione di questo primo appuntamento. Ringrazio di cuore Andrea per la sua disponibilità e per aver dato fiducia a questa nuova rubrica. La sua partecipazione ed il suo coinvolgimento sono stati davvero esemplari, motivanti ed arricchenti. Spero che quanto abbiamo prodotto possa essere di interesse e di stimolo quanto lo è stato per noi nelle varie fasi di confronto e approfondimento.

Se siete interessati al lavoro di Andrea Ferri o avete curiosità sui lavori qui presentati, potete contattarla ai seguenti riferimenti:

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